top of page
striscia.jpg

Estate: la migliore cornice per i

concerti delle

orchestre caraibiche.

Una breve analisi

     

​     A cura di Dino Frallicciardi

    luglio 2023. Tutti i diritti riservati.

 

ecg senza testo e nome per sito.jpg
striscia.jpg
IMG_4707 (1).jpg

Siamo finalmente in estate. Per chi vive intensamente la cultura latinoamericana ed ama ballare i ritmi della musica tropicale, questa stagione rappresenta indubbiamente lo scenario ideale per far da cornice ad orchestre e gruppi musicali che suonano Son, Salsa, Bachata, Merengue e tanto altro dal vivo. Una spiaggia, un locale sul mare, un cielo stellato, una luna che illumina le onde fino a riva, sono le locations naturalmente prestate per ospitare eventi latini live perché simulano proprio a quei luoghi (Portorico, Cuba, Repubblica Domenicana, ecc.) che sono stati culla per la nascita e la celebrazione delle feste danzanti sabrose. L'apertura imminente del "Milano Latin Festival" di Assago (Milano), 30 giugno - 29 luglio, oltre ad essere una grande opportunità in questo senso, conferma che ci troviamo nel periodo più bello dell'anno per le performances dal vivo.

Ma quali sono gli aspetti tecnico-organizzativi di un’orchestra di musica tropical quando suona dal vivo? Facciamo una piccola finestra su questo ambito artistico cercando di evitare definizioni grossomodo già note, preparandoci a comprendere fin da subito che le formazioni orchestrali di latin-music sono rodate su canoni che quasi sovvertono le tradizionali scale gerarchiche strumentali alle quali siamo abituati ascoltando musica di tradizione occidentale (pop/rock/leggera): basta osservare l’enfasi che strumenti apparentemente umili e di contorno (come ad esempio, il guiro) in realtà, ricevono in fase di settaggio mixer ed equalizzazione, fino ad assumere una posizione quasi di protagonismo.

Le orchestre musicali caraibiche hanno subìto una rapida evoluzione e trasformazione nel secolo scorso, partendo dall’esperienza singola dei Trovadores cubani, passando per i Duo, Trio, Cuarteto, Quinteto-Sexteto, Septeto, fino a giungere a formazioni numerose come Conjunto, Sonora, il cosiddetto Combo ma anche l’Orquesta Tipica, la Charanga e la Big Band. Notevole trasformazione hanno ricevuto anche i gruppi di bachata/merengue che assorbendo le influenze delle espressioni musicali “urbane” statunitensi, oggi, somigliano, nella composizione e nello spirito interpretativo, sempre più a gruppi pop/rock (batteria, chitarre elettriche, sintetizzatori). Idem per la Cumbia (Carlos Vives docet!). Un fenomeno di trasformazione che personalmente identifico come “involutivo” è rappresentato dal graduale «snellimento» delle orchestre in termini di numero di musicisti che via via si sta drasticamente riducendo a favore delle esigenze del mercato e della speculazione ma a danno della cultura e della stessa regalità di questa forma d’arte. Di questo parleremo più avanti. Volendo mantenerci nel tema di questo articolo, ci limitiamo a dire che oggi, sostanzialmente, un’orchestra moderna di Salsa o Timba è formata da: sezione percussioni (congas , timbales, bonghi, clave, campanacci, maracas, guiro); sezione fiati (trombe, tromboni, talora supportati da sassofono e clarinetto); basso (contrabbasso acustico o elettrico o basso elettrico); pianoforte (tastiera); voce solista; coristi. Nella timba, i timbales vengono completati dalla batteria. In alcuni ritmi è possibile osservare la presenza di numerosi altri strumenti: chitarra classica/acustica (samba, son, bachata, cumbia), tres (son), violino (timba, son, bolero), flauti (samba, bossanova, timba), fisarmonica (tango, cumbia), vibrafono (latinjazz, salsa-mambo) ecc.

L’aspetto più complesso del setting di un’orchestra tropical consiste nel trovare un giusto compromesso tra l’esasperazione della poliritmia, realizzata con numerosi strumenti percussivi ed il rispetto della dolcezza e della contemplazione melodica. E’ noto che questi gruppi musicali sono molto numerosi e che le percussioni utilizzate sono decisamente «rumorose», quindi ricercare la giusta alchimia tra energia acustica ed estetica del tema musicale è cosa non facile. In foto è riportato uno schema di massima di posizionamento sul palco, di una moderna orchestra Salsa/Timba. Un'altra risorsa necessaria e non trascurabile è la disponibilità «sulla piazza» di cantanti in grado di interpretare con originalità vocale e non verbale il genere e soprattutto di sapersi districare nell’arte del Soneo (su questa tecnica già pubblicato un articolo in merito dal titolo "Chi salverà l'arte del canto?"). Spesso anche cantanti molto bravi in altri generi musicali, si rilevano non a loro agio o adatti in questo ambito.

Notevole attenzione va prestata nella modalità di amplificazione dei vari strumenti, in particolare, come già detto, delle percussioni. Per fare ciò si usa porre dei microfoni in prossimità degli strumenti, o in certi casi, all’interno stesso delle casse di risonanza, scegliendo essenzialmente tra due tipologie tecnicamente diverse. Microfoni “dinamici”, meno sensibili nella captazione del suono (qualità sonora sufficiente), ma più resistenti all’impatto fisico con l’onda d’urto sonora: proteggono maggiormente l’amplificazione dagli effetti di “rientro” dei suoni esterni (strumenti in vicinanza, casse dell’impianto) all’interno dello stesso microfono. Esistono inoltre i microfoni “a condensatore”, molto più sensibili e delicati: offrono maggiore qualità del suono ma possono risentire maggiormente del fenomeno dei rientri. La scelta si basa solitamente sul tipo e la qualità dell’impianto di amplificazione, sul luogo (al chiuso, all’aperto) e sull’esperienza del musicista (o del fonico). Molti fiatisti utilizzano microfoni dinamici perché ritenuti più adatti alle frequenze degli ottoni. Sui timbales e congas, è possibile istallare un microfono per ogni tamburo (sopra o anche, talora, al di sotto) magari, con modalità pressoché stereofonica al passaggio mixer…

 

 

FOTO PER SALSA (1).jpg

 

Torniamo al discorso dello pseudo-sovvertimento che la salsa (ma anche la Timba, la bachata e gli altri ritmi caraibici) in qualche modo conferisce alla scala gerarchica dei livelli di volume dei vari strumenti. Come già detto, nel live latino, le percussioni la fanno da padrona: si tratta dei suoni che l’orecchio dell’ascoltatore raccoglie con maggiore percezione ed infatti nella gestione mixer ricevono una buona dose di enfasi: soprattutto congas, clave, guiro, campana, cascara. Il motivo di questo assetto è intuibile. E’ una musica destinata al ballo: i ballerini salseri, rumberi, timberi, bachateri hanno bisogno di ascoltare, in primis, questi strumenti per ballare a tempo e «con sabor», poi in un secondo, immediato step, viene data attenzione al resto dell’orchestra (voce, basso, piano, fiati ecc…). Per evitare i succitati, indesiderati, fenomeni di rientro (con in famigerato effetto Larsen) è auspicabile che il sistema di diffusione dell’impianto di amplificazione principale si trovi posizionato davanti all’orchestra e non alle spalle, disponendo ovviamente di un sufficiente sistema di monitoraggio per i musicisti sul palco che sia a cassa-spia oppure “in-ear” (auricolari). Nelle situazioni di massimo livello di prestigio professionale, in cui sono presenti fonici (di palco e di pubblico) non è infrequente osservare l’utilizzo di sistemi digitali di «compressione» dei segnali acustici, al fine di offrire al pubblico una qualità musicale più omogenea e dunque di ordine superiore. In definitiva, per i bailadores e bailarines amanti dei balli caraibici, un concerto estivo di musica tropicale non può che essere apprezzato e vissuto come un momento magico di esaltazione e trasporto in dimensioni percettive spazio-temporali transoceaniche: un viaggio con il cuore e con la mente verso l’America Latina.

Le orchestre tropical in Italia, tranne poche rare eccezioni (vedi “La Maxima ’79”) non ricevono sufficiente spazio e visibilità (che meritano), prevalentemente per due motivi: primo perché rimangono, tutto sommato fenomeni graditi prevalentemente da un pubblico "di nicchia" (essenzialmente i ballerini); secondo, per la suddetta complessità tecnico-organizzativa orchestrale, soprattutto, come abbiamo già accennato, l’alto (e costoso) numero di musicisti che la compongono. Un’orchestra salsera di 15-17 elementi soddisfa pienamente le esigenze stilistiche del genere musicale ma non è spendibile facilmente sul mercato date le alte spese di gestione. Per tale motivo, di conseguenza, molti gruppi si organizzano in modo tale scheletrizzare al massimo la struttura dell’orchestra, compattandola a pochi elementi, sacrificando in questo modo, in primis, la qualità, talora ottenendo un compromesso accettabile, talora invece, scivolando in strategie e soluzioni grossolane e di poco gusto (agli occhi di chi ama la musica suonata) come quella accompagnare basi musicali registrate. Intanto, nonostante l’era della grande depressione del settore musicale-live, per fortuna non mancano i grandi appassionati che non solo non si arrendono all’idea di abbandonare l’impegno di sostenere e curare una formazione caraibica di musicisti, ma affondano la propria curiosità nella ricerca di nuove tecniche per il miglioramento delle performance del collettivo. Conosco ad esempio, molti direttori artistici che hanno imparato ad usare, nei live, sistemi digitali di interfacce che lavorano con il coordinamento e la supervisione del computer. D'altronde il sottoscritto, a suo tempo, proprio a seguito di queste "meditazioni", decise che era giunto il momento che qualcuno inventasse un laboratorio di divulgazione culturale nel quale si iniziasse a parlare anche di musica latina «suonata» e non soltanto mixata o ballata. Con questo spirito e con questa consapevolezza nacque il blog QueRicoSonido e questa rubrica: per ricercare e raccontare anche la prospettiva di chi questa musica la suona con gli strumenti musicali tradizionali. Onore a chi non molla e continua, nonostante tutto, a cercare tutte le risorse e le opportunità disponibili (un plauso al Milano Latin Festival !) per onorare e celebrare sempre il culto della musica che amiamo! Viva la musica del Caribe, viva la musica suonata.

​

Dino Frallicciardi

​

QueRicoSonido é uno Spazio Web dedicato alla passione per musica Latinoamericana. Creato nel 2019. Tutti i diritti riservati.

   

 

 

striscia.jpg
come.jpg

«Come la suoniamo?»

La funzione dell'arrangiamento nella

Musica Caraibica

     

​

​

     A cura di Dino Frallicciardi

     Marzo 2023. Tutti i diritti riservati.

 

ecg senza testo e nome per sito.jpg
striscia.jpg

Quante volte abbiamo sentito pronunciare, nell’ambito dello spettacolo, la parola “arrangiamento”… Questo vocabolo un po’ curioso che può dare adito ad interpretazioni bizzarre in realtà è un termine tecnico importantissimo.

Secondo l’archivio Treccani per arrangiamento si intende: «l’insieme delle operazioni di armonizzazione, strumentazione e strutturazione formale di un tema musicale dato. Il termine indica anche l’adattamento di un brano musicale a organici strumentali diversi da quello cui esso era originariamente destinato». In termini pratici, consiste di tutte le parti suonate dagli strumenti musicali per rendere più ricco, completo ed originale un motivo sovente inserito in una progressione di accordi. Nei generi musicali della nostra cultura occidentale infarcita di pop, dance, rock, musica leggera, percepiamo in modo diretto le parti dell’arrangiamento, gustando l’ascolto, ad esempio, di un arpeggio di piano, di un assolo di chitarra, di un riff di basso, di un assolo di tromba che ci aiutano ad identificare rapidamente un brano pur non attendendone l’intera esecuzione. Spesso con il passare degli anni, l’arrangiamento acquisisce addirittura più notorietà della parte cantata e finisce con il diventare più cult della canzone stessa (mi vengono in mente, ad esempio, alcune canzoni dei Queen o di George Michael: il magico sassofono di Careless Whisper…).

Dunque la funzione dell’arrangiamento all’interno della musica di massa che ascoltiamo quotidianamente riveste prevalentemente aspetti “decorativi” e celebrativi.

Che funzione ha invece l’arrangiamento nella musica caraibica ed in modo più dettagliato nei ritmi come la salsa, la bachata, la timba, il chachacha e così via?

Le mie personali considerazioni in merito, sono frutto dell’esperienza di musicista maturata nell’ambito dei gruppi caraibici, soprattutto nel corso delle “prove in sala”. In modo particolare ho riflettuto molto osservando le dinamiche che si verificano nelle fasi durante le quali, per necessità, occorre far entrare nuovi musicisti nell’orchestra: musicisti che per quanto tecnicamente virtuosi, magari non hanno mai suonato repertorio latinoamericano puro (non commerciale). Non è facile per lo strumentista neofita comprendere l’importanza del rispettare l’integrità delle parti relative all’arrangiamento perché spesso non si ha sufficiente consapevolezza del valore che quest’ultimo ha per i ballerini. Durante le ore di lavoro in sala prove è molto frequente ascoltare frasi tipiche contenenti domande/proposte del tipo «come vogliamo suonarla?» da parte di strumentisti promettenti ed irrequieti che fremono nel desiderio di “personalizzare” il brano per renderlo, legittimamente, più originale. Gradualmente le richieste diventano più insistenti sottoforma di: «mica dobbiamo farla proprio uguale?»…«facciamola più swingata!»…«facciamola più rockeggiante»…«perché non eliminiamo questo terzinato?» e cosi via… Ricordo bene che la proposta più azzardata che mi fu avanzata fu riarrangiare Chanchan in versione reggae !

In mancanza di una adeguata leadership all’interno dell’orchestra a tutela (e difesa!) della tipologia del repertorio, il destino inesorabile di queste formazioni troppo “sperimentali” (ne ho conosciuto tante) consiste nel partire con il suonare Salsa e finire con il suonare Fusion, Funky ed altre complicazioni…

Il mio compito, spesso, consiste nel trasmettere ai nuovi arrivati la filosofia che sta alla base dell’arrangiamento caraibico: esiste un legame indissolubile tra musica e ballo e questi brani vengono creati ed elaborati soprattutto per diventare materia prima dell’estro dei ballerini. E’ una musica quasi interamente al servizio dei ballerini. Quando il salsero (il rumbero, il timbero, il bachatero…) balla in pista, quasi sempre conosce perfettamente a memoria l’arrangiamento del brano e nella sua corteccia cerebrale ideativa immagina già il movimento del corpo che dovrà eseguire di lì a poco, in modo sincrono con la parte musicale in esecuzione: «stacchi» di collo-testa, di spalle… movimenti degli arti della colonna e del bacino, rotazioni, camminate… figurazioni rallentate, plastiche e sincopate…sono tutte espressioni del ballo ispirate da quel preciso inciso, da quel preciso obbligato, da quel preciso slap di basso, da quei precisi pattens della sezione fiati, da quel preciso montuno di piano, da quei precisi colpi di percussioni e così via.

Orbene, non è che sull’arrangiamento della salsa o della bachata esistano vincoli da “inquisizione spagnola”: sono tanti gli esempi di brani che vengono ri-arrangiati oppure spostati da un ritmo ad un altro (es. una bachata in versione merengue); tuttavia, un musicista di un gruppo caraibico non può suonare in maniera troppo anarchica e/o personalizzata rispetto al tema consolidato di un determinato classico. Molti potrebbero obiettare il fatto che spesso le variazioni/contaminazioni generano altri stili: ciò è corretto ma la rivisitazione non deve mai avere, a mio avviso, un impatto negativo sull’interpretazione del popolo danzante.

Quindi per rispondere alla domanda del titolo di questo articolo, del tipo «come la suoniamo?», la risposta è: la suoniamo così come deve essere suonata, ovvero, come la conoscono e/o la gradiscono i ballerini! Sarebbe troppo riduttivo citare i più grandi arrangiatori del panorama caraibico! Dovrei partire da New York (Louie Ramirez, Tito Puente) a Puertorico (Bobby Valentin, Mario Ortiz) a Cuba (Chucho Valdes, Juan Formell, Jose Luis Cortes)… beh… mi fermo perché sono in grande imbarazzo…

In conclusione. Ben compresa la diversa funzione rivestita dall’arrangiamento musicale caraibico rispetto alla nostra musica di consumo occidentale, mi riservo di consolare il musicista neofita irrequieto, affermando che suonare caraibico non significa non avere la possibilità di improvvisazione: l’improvvisazione strumentale esiste, eccome, ma va inserita e valorizzata in appositi cluster giustamente inseriti nel brano salvaguardando l’integrità classica del «pezzo» noto ai ballerini.

Sull’arrangiamento caraibico bisognerebbe poi continuare, immergendosi in un discorso molto più ampio di definizioni e descrizioni tecniche sulle varie parti del brano (introduzione, cuerpo, soneo, montuno ecc…) tuttavia può essere materiale di discussione di una seconda parte di questo articolo.

Pubblico in seguito alcuni link per dimostrare lo stretto rapporto che esiste tra arrangiamento e ballerini nella musica caraibica.

 

A cura di Dino Frallicciardi per Que Rico Sonido (spazio web dedicato alla passione per la musica latinoamericana. Creato nel 2019. Tutti i diritti riservati)

 

bottom of page